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Ovidio Metamorfosi PIGMALIONE

OVIDIO – METAMORFOSI – Pigmalione, vv. 243 – 297 Il mito di Pigmalione, di cui Ovidio offre l’attestazione più antica, forse quella originaria, è uno dei casi di agalmatofilia “amore per una statua”, documentato dalle fonti antiche. Nel X libro delle sue “Metamorfosi”, Ovidio racconta che Pigmalione (dal greco pygmalion = nano) vive celibe, indignato dai numerosi difetti delle donne, finché un giorno scolpisce egli stesso in candido avorio la statua di una fanciulla nuda, più bella di qualsiasi donna vivente. Contemplando quella statua, espressione del suo ideale di donna, è colto da ardente passione: la colma della tenerezza e dei doni cari alle fanciulle e, in occasione dei festeggiamenti in onore di Venere, esprime agli dei il desiderio che una donna simile a quella d’avorio possa diventare sua sposa. Venere, presente in persona alla sua festa, intuisce il suo reale desiderio: non appena Pigmalione torna a casa, si sdraia sul letto accanto alla sua statua e rimane attonito nel costatare che è un corpo vivo. Dal loro matrimonio, cui la dea partecipa, nasce Pafo, da cui l’isola prende il nome. A questo mito, ambientato nell’isola di Cipro, quindi, non in Grecia, si fa risalire l’origine del costume della prostituzione sacra, una pratica arcaica, che nell’età ellenistica era ancora viva a Cipro e in altre località dell’Asia Minore. Filostefano di Cirene, autore, nella prima età ellenistica, dell’opera “Sugli eventi straordinari accaduti a Cipro”, che potrebbe essere stata la fonte dello stesso Ovidio, introduce il mito fra i suoi “eventi fuori dal comune”, perché una simile pratica appariva senz’altro eccezionale a un esponente della cultura greca del tempo quale egli era.